Sul lago scoppia la polemica: chi predica etica pesca con le reti. Riportiamo le considerazioni di numerosi pescatori ricreativi.
Normative restrittive e malcontento crescente
La tensione sulle sponde dei laghi ticinesi è palpabile. I pescatori dilettanti ( o in questo caso il corretto termine dovrebbe essere ricreativi ), stremati da regole sempre più restrittive e controlli asfissianti, alzano la voce: «Ci vietano tutto, ma chi dovrebbe dare il buon esempio è il primo a trasgredire», accusano. Negli ultimi mesi le normative sulla pesca sportiva si sono fatte più severe, al punto da diventare un incubo per molti appassionati. I divieti e gli obblighi si accumulano e la frustrazione cresce.
Tra i principali motivi di malumore i pescatori citano:
Divieto di tecnologie hi-tech: È stata introdotta una moratoria triennale che vieta l’uso dei sonar live (ecoscandagli “Live Sonar”) per localizzare i pesci nei laghi Maggiore (Verbano), Lugano (Ceresio) e sul fiume Tresa. Questo divieto, giunto per molti come “un fulmine a ciel sereno”, ha fatto infuriare chi aveva investito molto in tali strumenti costosi.
Costi e burocrazia: Le licenze di pesca sportiva sono sempre più care e i pescatori dilettanti denunciano un eccesso di burocrazia (ad esempio l’obbligo di compilare dettagliate statistiche del pescato annuale). Non a caso, in Ticino il numero di patenti annuali rilasciate per la pesca dilettantistica è diminuito del 7% nel 2024 rispetto al triennio precedente, segno di un calo di interesse alimentato anche da queste difficoltà.
Zone off-limits e controlli asfissianti: Aree tradizionalmente aperte alla pesca sportiva vengono progressivamente interdette (le cosiddette “bandite”) e i controlli sul rispetto delle regole sono serrati. Aree che vengono inserite in gestioni comunali a cui dovrebbe essere associato un ulteriore permesso ( a pagamento ). “Paghiamo per pescare in un lago lasciato all’abbandono, pieno di reti, rifiuti e pesce sempre più scarso”, protestano i dilettanti, sottolineando come a fronte di tali restrizioni manchi però un’adeguata cura dell’ecosistema lacustre.
Accuse di ipocrisia e due pesi e due misure
A infuocare la polemica è soprattutto un’accusa di ipocrisia rivolta alle autorità preposte alla pesca. Nel mirino c’è chi predica la “etica della pesca” emanando divieti, ma poi – secondo diversi pescatori – sarebbero i primi a non seguirla. “E allora ci chiediamo: di cosa se ne fa tutto quel pesce? Lo regala? Lo butta? O più probabilmente… lo vende?”, incalza un pescatore.
I pescatori sportivi lamentano quindi “due pesi e due misure”: da un lato controlli severissimi per i dilettanti, trattati alla stregua di bracconieri per un ecoscandaglio montato sulla barca o una canna da spinning; dall’altro tolleranza e silenzio verso chi pesca con le reti. I numeri sembrano dar loro sostegno: ad esempio, nel 2024 sul Lago Maggiore i pescatori professionisti (con le reti) hanno prelevato circa 32,7 tonnellate di pesce, contro appena 4 tonnellate scarse catturate dai dilettanti.
Anche sul Ceresio il trend è simile: 15 tonnellate dai professionisti contro 15 tonnellate dai dilettanti. Non stupisce dunque la rabbia di chi si vede attribuire la colpa del declino della fauna ittica nonostante prelievi molto inferiori rispetto alla pesca professionale. Un recente tentativo di istituire zone vietate alle reti sul Verbano era stato bloccato dall’opposizione di un pescatore professionista, per mancanza di basi legali. Questo episodio ha acuito la sfiducia: “Ci trattano come bracconieri solo perché abbiamo una canna e un ecoscandaglio”, sostiene amaramente un dilettante.
Un aneddoto circolato di recente rende bene il clima: pare che sia già stata elevata la prima multa per il nuovo divieto hi-tech. “100 € di sanzione e sequestro della sonda alle Isole Borromee” (sul Verbano), riferisce un testimone, aggiungendo che “la sonda era solo montata, non la stava nemmeno usando! Gliel’hanno sigillata e poi i carabinieri dovrebbero passare a procedere con il sequestro”. Episodi del genere alimentano la percezione che si stia colpendo duramente chi pesca per hobby, mentre chi fa pesca intensiva resterebbe nell’ombra.
Etica della pesca hi-tech: tradizione vs. tecnologia
L’adozione di ecoscandagli avanzati divide profondamente gli animi. Urs Lüchinger, direttore della Federazione Ticinese Acquicoltura e Pesca (FTAP), difende la moratoria sui Live Sonar appellandosi all’etica: «L’uso di questi “videogiochi” è poco etico. Si torni a pescare come una volta» ha dichiarato, sostenendo che bisogna recuperare un approccio più tradizionale e “pulito” alla pesca. Secondo Lüchinger, chi utilizza sonar live finisce per trasformare la pesca “in una sorta di videogioco” improntato al solo divertimento, spesso praticando il catch & release (rilascio del pescato) in continuazione; un comportamento che per lui “non è una pratica etica”. In altre parole, l’uso dell’alta tecnologia a scopo sportivo snaturerebbe l’essenza della pesca, riducendola a gioco.
Molti pescatori dilettanti però non ci stanno a passare per “non etici”. Sui social e nei capannelli in riva al lago in tanti contestano la posizione della FTAP come oscurantista: “Se tutti ragionassero così saremmo ancora all’età della pietra. Denigrare il progresso è assurdo”, ribatte un appassionato, sottolineando che anche i professionisti da tempo sfruttano tecnologie avanzate (dai radar ai sistemi GPS) per le loro reti. L’indignazione è tale che non mancano insulti verso i vertici della federazione, accusati di essere “dementi” nel voler frenare l’innovazione. Il sentimento comune è che il progresso sia inarrestabile anche nella pesca: “Lüchinger si rende conto di vivere nel 2025? Chissà se gira per strada con un carretto trainato da cavalli…”, ironizza provocatoriamente un pescatore su Facebook, ridicolizzando l’idea di “tornare indietro come una volta”. L’uso equilibrato della tecnologia, affermano in molti, può anzi contribuire a una pesca più consapevole e selettiva.
Va detto che non tutti nell’ambiente dei pescatori sportivi difendono a spada tratta i sonar live. C’è chi ammette che “pescare con questa strumentazione è un po’ come giocare a un videogioco”, e inizialmente era scettico sull’impatto di questi apparecchi. Tuttavia, si sottolinea anche un aspetto spesso trascurato: il Live Sonar in sé non aumenta necessariamente il pesce prelevato, perché la maggior parte di chi lo usa pratica comunque il rilascio immediato delle prede e sopratutto un pesce tracciato non è per nulla un pesce già pescato.
“Chi usa il Sonar Live, nella maggior parte dei casi rilascia subito il pesce e non dà fastidio a nessuno.”, osserva ad esempio Giuseppe De Bernardo, titolare di un negozio di pesca a Locarno. Di conseguenza, secondo questa visione, il sonar hi-tech non sarebbe più “immorale” di un semplice ecoscandaglio tradizionale: servirebbe soprattutto ad aumentare il divertimento e magari l’efficienza nel trovare i pesci, senza per questo svuotare il lago. Anzi, in alcuni casi la tecnologia potrebbe avere perfino benefici ambientali, ad esempio aiutando a individuare e rimuovere specie invasive: proprio grazie a un sonar live recentemente è stato catturato un siluro di 65 kg, specie considerata alloctona invasiva, dannosa per l’ecosistema.
La questione del “no kill” e del catch & release
Nel dibattito etico è entrato con forza anche il tema del “no kill”, ovvero il rilascio del pesce dopo la cattura (catch & release). Molti pescatori ricreativi praticano da anni questa filosofia, soprattutto nei confronti dei capi di pregio o in zone regolamentate.
Ciò permette di contenere l’impatto sullo stock ittico senza rinunciare alla passione della pesca. I dilettanti sottolineano il ruolo positivo del no kill nella conservazione: ogni pesce rilasciato è un pesce in meno prelevato dall’ecosistema, un dato che però – lamentano – “non viene mai messo in evidenza”.
Nelle statistiche ufficiali si contano solo i pesci catturati e trattenuti dai pescatori, sia professionisti che dilettanti, ma non c’è traccia di quelli risparmiati grazie al catch & release, dando così un’immagine distorta. “Si pubblicano solo le statistiche dei pesci prelevati, mai di quelli non prelevati grazie al no kill”, osservano polemicamente, “anzi, chi lo pratica spesso viene pure osteggiato”.
In effetti, la posizione ufficiale della FTAP e di alcune normative svizzere è critica verso il no kill “ricreativo”: l’idea di pescatore ricreativo, con la successiva libierazione della preda è ritenuta da alcuni contraria all’etica, perché causerebbe stress e ferite inutili all’animale. Lüchinger stesso associa il catch & release all’uso dei sonar, bollando entrambi come comportamento poco etico. Questa concezione però viene rispedita al mittente dai pescatori ricreativi, che la ritengono ipocrita: “Preferiscono che uccidiamo ogni pesce preso, così facciamo numero nelle loro tabelle?”, commenta con sarcasmo un dilettante, “Chi rilascia il pescato andrebbe premiato, non certo criticato”. La frattura su questo tema resta evidente, riflettendo due visioni opposte della pesca: quella utilitaristica/tradizionale, per cui pescare ha senso solo in funzione del prelievo alimentare, e quella sportiva/moderna, in cui il valore sta nell’esperienza in sé più che nel carniere.
I numeri che smentiscono la narrativa dominante
Un altro punto sollevato dai dilettanti riguarda i dati ufficiali sui prelievi. Spesso si cita il fatto che i pescatori sportivi, pur essendo migliaia, catturano comunque tonnellate di pesce l’anno. Ma la verità emerge quando si guarda il rapporto tra numero di pescatori e peso effettivamente prelevato:
I numeri parlano chiaro: circa 30 professionisti prelevano da soli oltre 100.000 kg di pesce l’anno, mentre oltre 13.000 dilettanti ne prelevano poco più di 15.000 kg complessivi. È quindi fuorviante accusare i pescatori sportivi di avere un impatto rilevante sul declino ittico, specie considerando che la maggior parte di loro rilascia il pescato. Il rapporto è di 1 professionista ogni 450–500 dilettanti, eppure le restrizioni colpiscono solo questi ultimi.
| Anno | Pescatori Professionisti (n°) | Pescatori Dilettanti (n°) | Pescato Professionisti (kg) | Pescato Dilettanti (kg) |
|---|---|---|---|---|
| 2022 | 35 | 15,000 | 135,000 | 17,000 |
| 2023 | 30 | 14,000 | 114,000 | 16,600 |
| 2024 (proiez.) | 30 | 14,000 | 115,500 | 15,750 |
| 2025 (proiez.) | 28 | 13,500 | 110,600 | 15,050 |
Dati stimati da ricerca online per il lago maggiore
Chi vieta, pesca: un potenziale conflitto d’interesse?
Molti pescatori hanno sottolineato che alcuni membri delle commissioni che firmano le ordinanze contro il Live Sonar sono anche attivi nella pesca professionale con reti. Questo – affermano – rende il quadro ancora più grave: non è solo una contrapposizione dilettanti/professionisti, ma dilettanti contro l’autorità stessa, che potrebbe avere interessi diretti nella gestione degli stock ittici. Una situazione che solleva legittimi dubbi su trasparenza, imparzialità e conflitti d’interesse.
Moratoria al contrario: la proposta choc dei pescatori
Stanchi di sentirsi additati come i colpevoli del declino ittico, alcuni pescatori dilettanti avanzano una provocatoria proposta: una moratoria di tre anni sulla pesca professionale con le reti.
“Perché non fermare le reti per tre anni? Così potremmo finalmente valutare l’impatto reale della pesca professionale, invece di colpevolizzare chi usa una sonda live o una canna da spinning”.
L’idea nasce dal paragone con la moratoria triennale imposta ai sonar: se per tre anni gli amatori dovranno rinunciare alla tecnologia in nome della prudenza scientifica, perché non applicare lo stesso principio ai professionisti, sospendendo la loro attività per studiare come si evolve il lago senza reti? Una proposta che, con ogni probabilità, gli addetti ai lavori respingeranno al mittente ritenendola impraticabile; tuttavia essa riflette il senso di ingiustizia percepito dai pescatori sportivi.
Del resto, già in passato erano state avanzate richieste di limitare il prelievo professionale. Come ricordato da De Bernardo, si era tentato di istituire zone di riserva nel Verbano dove fosse vietata la pesca a reti, ma l’iniziativa è naufragata per cavilli legali. Ora i dilettanti rilanciano, esasperati: vorrebbero vedere una pausa nell’attività dei “retisti” per capire quanto incidono davvero sul calo di pesce.
Le autorità parlano di uno “studio scientifico” da condurre nel triennio 2025–2028 per valutare l’impatto della tecnologia sulla fauna ittica. Ma i pescatori sportivi, in gran parte praticanti del catch & release (no kill), fanno notare che proprio per la natura della loro attività non compilano alcun segna catture.
“Tra 3 anni, su cosa si baseranno gli studi? Su nessun dato. È assurdo!”
“Che studio vogliono fare? Confrontare il niente con il niente?”
La realtà, dicono in molti, è che non si sta raccogliendo alcun dato sistematico da parte di chi è stato colpito dal divieto. Il risultato, prevedono, sarà un report finale basato solo su sequestri e sanzioni, non su metriche biologiche attendibili. Alcuni si chiedono provocatoriamente: “Qual è il vero motivo del divieto? È davvero una misura ecologica o solo una ripicca personale di chi sta a monte delle decisioni?”.
I dati, come visto nella tabella sopra, mostrano che il pescato professionale nei laghi ticinesi rimane consistente, e sebbene in leggero calo negli ultimi anni, continua a rappresentare la quota maggiore di prelievo complessivo. Di contro, il mondo della pesca dilettantistica è in contrazione (meno licenze, meno ore di attività e meno catture registrate rispetto al passato ), complice forse anche la diminuzione di pesce disponibile e le normative stringenti. In questo contesto, la moratoria “al contrario” suona come uno sfogo clamoroso, per chiedere pari considerazione e sacrifici anche a chi pesca per mestiere.
Conclusioni: verso un equilibrio (per ora lontano)
La vicenda della pesca hi-tech ha fatto emergere una frattura profonda nel panorama alieutico locale. Da un lato le autorità e una parte di pescatori invocano precauzione, tradizione ed etica intesa come rispetto della fauna (evitando accanimenti tecnologici sugli animali); dall’altro, centinaia di pescatori onesti chiedono equità di trattamento e apertura all’innovazione, senza demonizzare chi abbraccia il progresso.
Al momento, il clima è teso e polemico. “Se questa è etica, allora qualcuno dovrebbe riscrivere il dizionario”, commenta amaramente un pescatore, alludendo alla disparità di atteggiamento verso dilettanti e professionisti.
Sullo sfondo resta l’obiettivo condiviso – almeno a parole – da tutti: preservare l’equilibrio dell’ecosistema e garantire pratiche di pesca sostenibili. Come raggiungere tale equilibrio, però, è materia di acceso dibattito. La fiducia reciproca tra pescatori ricreativi e istituzioni appare ai minimi storici. Le prossime stagioni diranno se il divieto dei “videogiochi” elettronici avrà giovato ai pesci oppure no. Di certo ha già avuto un effetto collaterale: ha esasperato una comunità di appassionati, convinta di subire un’ingiustizia e determinata a non restare in silenzio.
Ci giunge anche questa immagine che lasciamo giudicare al lettore: