Una volta bastava una licenza, un po’ di filo e qualche bigattino per vivere una giornata di pesca in libertà. Oggi, prima ancora di pensare a dove lanciare l’esca, bisogna orientarsi tra regolamenti provinciali, tesserini segna catture, pagamenti online, permessi giornalieri e affiliazioni a federazioni o enti locali di gestione.
Il risultato? Una passione che si trasforma sempre più spesso in frustrazione.
In questo articolo affrontiamo il tema della burocrazia nella pesca sportiva italiana, con particolare attenzione alla Lombardia ( scriveteci per aggiornarci sulla vostra regione: info@fishingmania.it ), una delle regioni più caotiche sotto questo punto di vista.
Perché, se da un lato è giusto regolamentare per tutelare l’ambiente, dall’altro troppa complessità rischia di allontanare i pescatori legittimi, lasciando campo libero a chi se ne frega delle regole.
📄 Il labirinto delle licenze e dei permessi
Per pescare legalmente in acque interne italiane serve, innanzitutto, la licenza di pesca di tipo B, rilasciata dalla propria Regione. Fin qui, tutto chiaro.
Il problema inizia quando si vogliono pescare salmonidi, oppure in acque a gestione convenzionata o in province diverse da quella di residenza.
In Lombardia, ad esempio:
Serve il tesserino segna catture, diverso a seconda della provincia di riferimento.
Ogni provincia può avere propri regolamenti e permessi integrativi, come accade per Como/Varese, Lago Maggiore, Bergamo, Mantova ecc.
Alcune acque richiedono permessi giornalieri FIPSAS, anche se si è già tesserati.
In alcune acque servono ulteriori permessi annuali per la pesca da natante.
I tesserini vanno ritirati fisicamente in sede o in esercizi convenzionati, e poi riconsegnati a fine stagione. Ma spesso mancano, sono terminati o richiedono viaggi di chilometri.
Chi pesca su fiumi come l’Adda, che attraversa più province, rischia multe anche solo spostandosi di qualche centinaio di metri. La pesca, che dovrebbe rilassare, si trasforma in una caccia al permesso giusto.
💰 Costi in aumento: una passione che pesa sul portafoglio
La burocrazia ha anche un costo. Proviamo a fare una stima per un pescatore appassionato che pratica regolarmente in Lombardia:
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Licenza di pesca tipo B (validità 10 anni): 23€ di versamento, più marca da bollo.
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Tessera FIPSAS: 30€ (obbligatoria per molte acque gestite).
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Permessi provinciali integrativi: da 10 a 50€, a seconda della provincia.
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Tesserini segna catture: “gratuiti”, ma richiedono tempo e spostamenti per il ritiro.
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Permessi giornalieri o stagionali per specifiche zone: da 5 a 50€ cadauno.
🔎 Totale potenziale annuo: oltre 150€ / anno ( quando va bene ), senza contare carburante, attrezzatura e costi di trasferimento.
In cambio, il pescatore riceve spesso poca chiarezza, poca tutela, e acque con pesci scarsi o mal gestiti. La domanda sorge spontanea: i soldi raccolti dove finiscono? Quanti vengono reinvestiti per il ripopolamento e la vigilanza?
📉 Conseguenze: calo di tesseramenti, fuga dei giovani, pesca illegale
Le conseguenze di questo sistema sono ben visibili:
Il numero di tesseramenti FIPSAS e licenze è in calo costante da anni.
I giovani non si avvicinano a uno sport complicato, regolamentato come una pratica notarile.
I pescatori occasionali si arrendono: troppo complesso.
E intanto cresce la pesca di frodo, spesso impunita, praticata da chi ignora deliberatamente ogni norma.
Chi rispetta le regole si sente preso in giro. Chi non lo fa, spesso la fa franca. Un paradosso che mina la credibilità delle istituzioni e delle associazioni.
🏛️ Una gestione frammentata e confusa
L’Italia è un Paese in cui ogni provincia può adottare regolamenti propri, anche su fiumi condivisi. In Lombardia, ad esempio:
Le date di apertura della pesca alla trota cambiano tra Sondrio, Como, Varese e le altre provincie.
I limiti di cattura e misure minime non sono uniformi.
I periodi di chiusura e la gestione delle specie alloctone sono diverse da provincia a provincia
Le acque vengono gestite da enti pubblici, consorzi, FIPSAS o associazioni private, spesso in competizione tra loro.
Il risultato è che un pescatore, per muoversi tra zone diverse, deve leggere più regolamenti di quanti ne servano per fare un esame universitario.
Nel 2025, con SPID, app, geolocalizzazione e banche dati digitali, questa frammentazione appare assurda. Ancor più assurdo i periodi di divieto di pesca delle varie specie, in un territorio con un clima e acque pressochè identiche.
🏢 Anche gli enti locali sono in difficoltà
Non è solo il pescatore ad arrancare tra normative e burocrazia.
Anche molti enti gestori locali, piccole realtà di gestione ed ATPS, consorzi ecc – fanno fatica a tenere il passo con la complessità crescente del quadro normativo.
Gli addetti ai lavori si trovano spesso:
A dover interpretare e applicare norme nazionali, regionali ed europee, non sempre coerenti tra loro.
A gestire obblighi di tracciabilità, reportistica e vincoli ambientali sempre più stringenti.
Con pochissimo personale e risorse economiche limitate, soprattutto in province montane o zone marginali.
Il risultato? Ritardi nei ripopolamenti, mancate comunicazioni ai pescatori, difficoltà nel rilascio dei tesserini, aggiornamenti dei regolamenti che arrivano all’ultimo minuto o in modo poco chiaro.
Anche chi vorrebbe innovare o semplificare si trova spesso bloccato da burocrazia superiore, oppure da mancanza di strumenti digitali adeguati. In definitiva, una macchina che zoppica su tutti i fronti.
🏰 Il paradosso delle acque “private” nel 2025
In un Paese dove si discute ogni anno di accesso pubblico alle acque, conservazione e sostenibilità ambientale, esiste ancora un paradosso anacronistico: in Italia, ci sono ancora laghi, fiumi e rogge che sono formalmente proprietà privata.
Si tratta spesso di atti di concessione risalenti al Medioevo, all’epoca degli Stati preunitari, o di diritti acquisiti prima dell’unificazione d’Italia e mai revocati. In altri casi, acque “chiuse” sono diventate proprietà di aziende agricole, nobili famiglie o eredi che ancora oggi gestiscono l’accesso alla pesca come se fossimo nell’Ottocento.
📜 In Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna e Toscana, non è raro imbattersi in specchi d’acqua con divieti assoluti di pesca o accesso limitato a chi paga quote private, anche se sono collegati a fiumi pubblici.
💡 In un’epoca in cui si parla di democratizzazione dell’ambiente e uso pubblico delle risorse, queste situazioni fanno discutere: possibile che nel 2025 un fiume possa essere “vietato” perché “di qualcuno”?
Un tema complesso e controverso, che aumenta la frammentazione e la disuguaglianza tra pescatori, soprattutto quando alcune delle migliori acque sono sottratte alla fruizione collettiva.
💬 Cosa ne pensano i pescatori
Abbiamo raccolto alcuni commenti dai social e dal nostro blog. Il sentimento comune è chiaro:
🎣 “Pesco da 40 anni. Mai vista tanta confusione come oggi. Se sbagli provincia ti multano anche se hai pagato tutto.”
– Paolo R., Como
🐟 “Volevo portare mio figlio a pescare trote. Dopo due ore tra regolamenti e moduli, abbiamo rinunciato.”
– Elisa T., Milano
⚠️ “Più burocrazia, meno pesci. Ma almeno i bracconieri pescano tranquilli.”
– Gianluca M., Lecco
🎣 “La pesca dovrebbe essere un momento di relax, ma tra permessi, tesserini e regolamenti diversi per ogni zona, diventa un incubo organizzativo.”
– Marco T., Brescia
🐟 “Ho smesso di pescare nei fiumi perché non riesco più a capire quali sono le regole valide. Ogni anno cambiano qualcosa.”
– Lucia V., Bergamo
🛠️ Possibili soluzioni
Non tutto è perduto. Le tecnologie esistono, la volontà politica meno. Ecco alcune proposte di buon senso (idee complessive che sono scaturite parlando con i tanti pescatori che incontriamo) che potrebbero cambiare il futuro della pesca sportiva:
Licenza unica nazionale, davvero valida ovunque e con copertura assicurativa. Chiaramente con costo complessivo maggiore, ma che sia valida su tutto il territorio nazionale.
Portale unico online per tesseramenti, permessi, tesserini digitali.
App ufficiale della Regione/Ministero per leggere i regolamenti aggiornati per zona GPS.
Semplificazione dei tesserini segna catture: un solo tesserino, auto-compilabile, facilmente accessibile magari direttamente online.
Controlli veri sul territorio, per colpire chi infrange le regole e non chi le rispetta.
🎯 Conclusione: È tempo di rimettere il pescatore al centro
La pesca sportiva in Italia sta vivendo una delle sue stagioni più difficili.
Non per mancanza di passione, ma per l’eccesso di regole, confusione normativa e disconnessione tra chi scrive le leggi e chi vive i fiumi ogni weekend.
I pescatori non chiedono privilegi.
Chiedono chiarezza. Semplicità. Rispetto.
Ogni permesso in meno, ogni tesserino digitale ben fatto, ogni regola comprensibile è un passo avanti per salvare non solo uno sport, ma una cultura fatta di pazienza, natura, amicizia.
Invece di scoraggiare, le istituzioni dovrebbero valorizzare chi sceglie di praticare una passione pulita, legata al territorio, che sostiene l’economia locale e promuove il rispetto dell’ambiente.
Se non vogliamo vedere le sponde dei nostri fiumi vuote e i laghi silenziosi, serve un cambiamento.
E questo cambiamento deve partire dall’ascolto.
📣 La tua voce conta!
La burocrazia sta cambiando il modo in cui viviamo la pesca sportiva.
🎤 Hai vissuto situazioni assurde con permessi, regolamenti o controlli?
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Più siamo a parlarne, meglio è.
🎣 La pesca è una passione, non una corsa a ostacoli.