ITINERARI DI PESCA

Ogni anno scopriamo un posto nuovo dove andare a calare le nostre lenze durante l’inverno. Fino a qualche anno fa la meta fissa erano le lanche dell’Adda ed in particolare la lanca di Soltarico, trasformata ormai in selva impenetrabile.

 

Poi è stato il turno del Naviglio Grande da Turbigo ad Abbiategrasso, seguito dal Canale Muzza e dal Serio cremasco fino a quest’inverno, che ha visto il ritorno sul grande palcoscenico dell’Isola Serafini (vedi articolo CLICCANDO QUI ) ed il Canale Vacchelli. Questa è stata la grande novità di dicembre 2015. Un canale artificiale di cui abbiamo già parlato ad inizio anno grazie al servizio sulle bolognesi Milo messo in piedi grazie alla collaborazione dell’amico Maurizio Teodoro. Se avete letto quell’articolo, ricorderete la “marmellata” di pighi che Maurizio fece assieme a Paolo Stainer e Vincenzo Moscovali. Affascinati da questo corso d’acqua, che a partire da aprile diventa praticamente impescabile a causa della portata d’acqua troppo elevata, abbiamo deciso di ritornarci per una sessione di pesca a feeder.

IL CANALE VACCHELLI

Prima di parlare della pescata, ricordiamo alcune caratteristiche del Vacchelli. Nasce dall’Adda all’altezza di Spino d’Adda e dopo alcune decine di chilometri si disperde nella pianura cremasca e bergamasca in tanti piccoli canali e rogge, utili per l’irrigazione dei campi nella stagione primaverile – estiva. La sua larghezza non supera i 25 metri circa e la profondità si stabilizza al di sotto di un metro e mezzo, con pochissime situazioni in cui sono presenti delle “buche” con profondità maggiore. In questo periodo, di norma la limpidezza dell’acqua è massima e ciò rende molto difficile la pesca. Il Vacchelli è uno di quei pochissimi corsi d’acqua del Nord Italia dove non sono praticamente presenti alcune specie ittiche alloctone. Pigo, scardola, cavedano, vairone e barbo comune nostrano. Principalmente sono queste le cinque specie che popolano in quantità questa derivazione dell’Adda. Dei vaironi avevamo parlato alcuni anni fa, dei pighi ne abbiamo parlato nell’articolo pescando a bolognese, dei barbi ne parliamo adesso.

BARBI AUTOCTONI

Pescare i barbi, ormai, è cosa di tutti i giorni. Basta andare in Po o in Ticino o in Adda e non è difficile. Peccato che si tratta della specie alloctona, il barbo comune erroneamente chiamato barbo portoghese, che in latino risponde al nome di Barbus barbus. La specie autoctona è il Barbus plebejus, caratterizzato da una colorazione più accentuata, l’assenza del rostro sulla pinna dorsale, il muso meno allungato e la presenza di “labbra” gialle e molto più carnose del cugino europeo. Una specie in via di estinzione in quasi tutta Italia e che sta soffrendo moltissimo il fenomeno di ibridazione, che porterà pian piano alla scomparsa del ceppo italiano. Il Vacchelli è uno di quei pochi canali in cui il “Plebejus” sembra resistere in abbondanza, anche grazie alle difficoltà nel catturarlo. Considerando che si tratta di un pesce che staziona normalmente ben piantato sul fondo, la decisione di pescare a feeder non è stata casuale. Assieme a Maurizio Teodoro ne erano stati presi un paio, ma pescando a bolognese è più semplice imbattersi in pighi e cavedani.

LA CORRENTE

La corrente del Vacchelli è sempre molto sostenuta ed affrontandolo con la tecnica del feeder è necessario avere a disposizione un ampio range di pasturatori. Questa tecnica non è statica come molti possono pensare, in quanto si possono utilizzare grammature molto più leggere di quanto si possa pensare. Si può pescare a scarroccio, facendo si che il pasturatore salti sul fondale e l’esca sia in movimento, oppure utilizzare il metodo bow, quello con la pancia, per far si che il filo tagli trasversalmente la corrente permettendo una migliore stabilità del pasturatore e l’utilizzo di grammature più leggere anche di venti o trenta grammi. Oppure ancora si può pescare con una grammatura al limite per stare completamente fermi, senza che la corrente possa trasportare via il tutto. Lo “scarroccio” sul Vacchelli è però sconsigliabile, in quanto vi sono tratti con fitta vegetazione. Meglio basarsi sul metodo bow. La corrente obbliga l’uso di pasturatori da 30 a 50 grammi block end e canne con azione light.

MASTERPIECE SKIN LGHT BALZER

E’ stata l’occasione per mettere in pesca una delle più importanti novità del 2016 presenti sul mercato in fatto di canne come la Zammataro Masterpiece Snake Skin Light Feeder. Una canna di casa Balzer che fa parte della nuovissima serie Snake Skin, un vero e proprio gioiellino della casa tedesca. Dopo anni di canne in tre pezzi, con azione decisamente progressiva, Balzer ha cambiato completamente tutto presentando una serie elegante ma allo stesso tempo accattivante sia esteticamente, sia per quanto riguarda l’azione di pesca. La Light Feeder è una canna con potenza massima da 60 grammi, in due pezzi, con il fusto molto più sottile rispetto al passato ed anelli più piccoli, con un ulteriore miglioramento della sensibilità. Una canna che nella pesca del Vacchelli può sembrare un po’ azzardata, ma che invece ben si comporta in pesca.

LA PESCATA

Riuscire ad insidiare i barbi europei non è particolarmente difficile, considerando che si pesca in acque molto più torbide e con profondità superiori ai tre metri. Diverso è il discorso dei barbi autoctoni. Bisogna riuscire a capire cosa effettivamente è necessario utilizzare per ingannarli. La logica vorrebbe finali lunghi e dimensioni sottili. Nel Canale Vacchelli funziona al contrario. Il Barbus plebejus è un pesce molto più delicato e smaliziato del Barbus barbus. Se quest’ultimo attacca con violenza l’esca, spostando letteralmente la canna dal feeder arm, il primo effettua una mangiata più delicata, a volte come se fosse un cavedano. il più delle volte la mangiata è una starata, nemmeno troppo netta. Solo pescando si riesce a capire cosa fare per cambiare le sorti di una giornata destinata al cappotto. Bastano solo due piccole modifiche: un pasturatore più pesante per evitare un leggero scarrocciamento nei primi metri dalla caduta ed il finale corto. Se il pesce è in zona ma non mangia, con due accorgimenti e le mangiate si susseguono ad un ritmo incredibile. Come passare da zero a cento in pochi minuti, anzi, in pochi secondi. Uno, due, tre, cinque, otto, dieci. Tutti esclusivamente barbi italiani. Pesci di taglia non esagerata, tra i trecento ed i seicento grammi, ma maestosi una volta presi in mano. Un pesce che quando si cattura per una volta, si ha paura che possa essere l’ultima.

 

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